di
Agostina Usai
La vecchia Pierina, con la mente rivolta al passato raccontava e la giovane Agata ascoltava senza perdere un accento, un'espressione, un movimento che ella coglieva in quel viso ancora roseo seppure grinzoso, in quegli occhi grigi appannati dall'avanzata cataratta. Pierina si muoveva nella comoda sedia dai braccioli in legno. Per Agata tutto era fuori posto, sgradevole, scostante, a cominciare dalla persona che occupava quella sedia ed avrebbe voluto essere lontana, in spiagge deserte in compagnia dell'uomo amato da entrambe, generato e cresciuto dalla vecchia ma da ambedue conteso nell'affetto, nelle attenzioni, nella presenza e nei pensieri. Paolo, alto, bruno di capelli per quel tanto che la precoce calvizie aveva risparmiato, era di indole docile, amante della serena tranquillità per cui si adoperava in ogni modo e si arrabattava per questo, giustificando ora l'una ora l'altra, sballottato nelle frequenti a volte mute lotte, fra le due donne della sua vita. In quel momento egli era assente materialmente, ma come sempre presente nell'inconscio delle due ed agiva da spinta aggressiva maggiormente in Agata che sentiva Pierina più sicura di sè per il vantaggio che la natura stessa aveva determinato. Ad Agata non rimaneva che trovare i nei nell'altra, i punti negativi su cui rivalersi per superare quello scoglio primordiale, e quindi, la scrutava intensamente quasi volesse ingerire ogni ansimo ed ogni movimento del viso, per poterlo rimuginare in seguito in solitudine e accentuare gli aspetti salienti su cui basare la sua arringa accusativa e guadagnare spazio nel cuore dell'uomo che l'aveva scelta come compagna di vita. La vecchia raccontava: <<Io e mio marito possedevamo diciassette pecore, provenivano dalla matrice che aveva fruttato nel tempo e che ci era stata regalata da mio zio per le nostre nozze. Avevamo anche un servo pastore, un buon figliolo di sedici anni: Carmine. Gli demmo modo di lavorare affinché potesse nutrire i suoi tre fratellini con il latte e formaggio da noi dati in retribuzione. Era necessario a casa di sua madre come l'aria che quei cinque respiravano, perché quel mascalzone di suo padre aveva abbandonato loro per correre dietro ad una spudorata di passaggio.>> Pierina alzava ogni tanto le sopraciglia e vedendo il grande interesse di Agata continuava: <<Carmine era ligio al dovere, pur essendo figlio di un simile padre era profondamente onesto. Ricordo come se fosse ora quando lo vedemmo entrare da questa porta, pallido ed agitato.>> La vecchia sembrava impersonare il ragazzo e assumeva negli occhi appannati uno slancio di vita, poi agitando le braccia tornava in se stessa allo stato precedente, mutando espressione: <<"Le pecore! Mi hanno legato mani e piedi e mi hanno rubato le pecore!" Ci aveva detto. Povero ragazzo, era mortificato come se egli stesso fosse stato la causa del misfatto. Certo che il figlio di Rosina Peranu, in quel momento, doveva avere tutt'altra emozione nel cuore mentre andava a nascondere, al monte dietro la chiesa dei SS. Cosma e Damiano, le bestie rubate.>>.
Agata ascoltava attentamente e chiese: <<Questo figlio di Rosina Peranu era giovane anch'egli?>> La suocera girando all'ingiù gli angoli della bocca e indignando lo sguardo rispose:
<<Aveva venticinque anni, uomo delinquente che altro non era. E' andato a danneggiare un ragazzo di sedici. Anch'egli era orfano ma la madre non è stata capace di insegnargli a mantenersi onesto nel lavoro. Anzichè adoperarsi per latte e formaggio, nel colpo di una notte, ha procurato ai fratelli carne e lana, sottraendoli ad altri.>>
Agata pensava al giovane uomo privo di insegnamento migliore ed essendo ella stessa madre di un ragazzo, vedeva gli altri due al pari del suo come se fossero tornati indietro nel tempo, tutti e tre neonati, bisognosi del latte materno ma anche di effusioni e di parole. Ella li accarezzava col pensiero come se stessero tutti nella stessa culla e osservava Pierina che le appariva dall'altro lato di un fosso profondo e non lontana da lei soltanto ad un metro di pavimento, mentre costei cupa, continuava: <<Comunque, il diavolo come sempre fa le pentole e dimentica di fare i coperchi ed anche allora si è potuti arrivare a Simore Trassa, il figlio di Rosina, appunto.>> Nel dire le ultime parole Pierina batté il palmo della mano destra sul ginocchio, con lo sguardo e le labbra ridenti di soddisfazione perché il destino aveva ripagato il colpevole.
<<Com'è che l'hanno identificato? E' stato Carmine a vederlo?>> Chiese Agata che, pur di scagliarsi in qualche modo contro la sua rivale, stava sulla difensiva e prendeva la tutela di Simone cercando di trovare elementi di dubbio sulla sua colpevolezza.
<<No, Carmine non poteva vederlo perché l'altro aveva il viso coperto>> rispose Pierina con enfasi <<è' stato il fidanzato della sorella che ha riconosciuto i lacci usati per legare Carmine come proprietà di Simone. Quella è stata la prova decisiva tratta da una domanda a tranello fatta dal maresciallo a quel suo parente.>> Pierina nello spiegare continuava a sorridere e la giovane nuora invece si indignava considerando quella prova non inconfutabile giacché i lacci potevano essergli stati sottratti a sua insaputa e lo fece presente alla vecchia agitandosi come se in quel momento avesse indossato la toga nell'aula del tribunale ed avesse il potere di difendere Simone.
<<Non erano sicuri che quei lacci li avesse usati proprio lui, non avevano il diritto di condannarlo>> disse Agata quasi accorata e intanto la suocera insisteva nell'accusa:
<<E' stato lui! Ed è un bene che l'abbiano messo in prigione per scontare una pena di due anni che però non ha concluso.>>
<<Bene, allora ho ragione io, si sono ravveduti e lo hanno liberato.>> E intanto ad Agata brillavano gli occhi come se si trovasse ad attendere Simone che usciva dal portone della galera. Ma gli occhi di Pierina erano ben più agitati e combattivi nel chiarire meglio le condizioni in cui il figlio di Rosina Peranu aveva lasciato la prigione:
<<Si, hai proprio ragione, perché è uscito dentro la bara, è morto di tubercolosi causata dal lungo soggiorno nella cella più umida del carcere.>> La vecchia continuava a sorridere in modo apertamente soddisfatto per quel lugubre epilogo.
Intanto Agata la guardava stralunata, incredula per la totale mancanza di pietà verso Simone che lei continuava a vedere piccino, indifeso dentro il corpo di un adulto, che tossiva nella cella umida da cui usciva infine nella bara.
La lotta fra le due donne quel giorno si era fermata apparentemente così. Erano ammutolite e Agata si era alzata per adempiere ai compiti di casa col viso scuro, pensieroso. Più tardi Paolo rientrato dal lavoro le salutò affettuosamente tutte e due, subito dopo, Agata lo trasse nell'intimità della loro camera e appena ebbe richiuso la porta esordì:
<<Oggi ho potuto constatare a pieno la profonda cattiveria di tua madre.>>
Non si accorgeva di quanto male in quel momento procurava a se stessa, a Paolo ed a Pierina, neppure dall'improvviso malinconico distacco degli occhi del marito che pur di sfuggire all'impegno di un giudizio e di una scelta, ricordò col pensiero una piccola storia, sentita quando era bambino, una sera d'inverno, mentre sedeva insieme al nonno vicino al fuoco. Gli sembrava di vedere il vecchio che forse aveva i suoi stessi problemi e parlava col viso ombroso: "E, caro Paolo, devi sapere che tra suocera e nuora non corre mai buon sangue. Neppure Dio è riuscito a farle andare d'accordo, pensa che aveva provato a crearne due di zucchero ed erano quindi dolcissime, ma erano rimaste ognuna sulle sue stando distanti per orgoglio fino a quando non si erano sciolte. E' una storia antica che qui in Ogliastra conosciamo da tempo, io l'ho appresa da mio nonno così come tu la ascolti da me e come un giorno la racconterai a tuo nipote perché il mondo gira sempre nello stesso verso."