Sin dal periodo preistorico, l'acqua ha rappresentato un elemento atto ad esprimere una valenza magico-sacrale e ha permeato, in virtù del suo carattere di bene primario, gli stessi aspetti insiti alla religiosità.
Tra le popolazioni primitive, l'acqua rappresentava infatti un importante oggetto di culto, alla luce del suo carattere espressivo di divinità che, emergendo dal sottosuolo, assicurava il ciclo della vita. Talvolta, il culto dell'acqua, era connaturato a una finalità evocativa, specie laddove quest'importante elemento era piuttosto scarso.
Il culto dell'Acqua in Sardegna
In Sardegna, in particolare, gli aspetti cultuali legati all'acqua, trovano la loro origine già in epoca nuragica e hanno mantenuto nel tempo, pur con diverse connotazioni, legate all'avvento del cristianesimo, espressioni che non fanno venir meno il significato magico-religioso che ha accompagnato la celebrazione di alcuni riti propiziatori.
Si pensi, per esempio, alla richiesta dell'intercessione divina volta ad ottenere l'acqua pluviale che, nelle comunità agrarie, assumeva un rilievo essenziale, posto che la vita era strettamente dipendente da quegli eventi naturali interpretati come voluti direttamente da Dio. Questa pratica propiziatoria, trova le sue origini nel mondo nuragico, ma si è mantenuta fino alla prima metà del secolo scorso. Pertanto, possiamo affermare che, se da un lato sono mutati nel tempo i referenti spirituali cui venivano rivolti i riti propiziatori, dall'altro, sono rimaste immutate le ragioni che giustificavano tali pratiche cultuali, sempre legate a un mondo, quello agro-pastorale, cui era immanente l'essenzialità dell'elemento acqua. Quindi, mentre nel mondo primitivo, prettamente politeista, veniva chiaramente individuato un Dio della pioggia (Maimone) che veniva invocato attraverso riti magici per ottenere, appunto, le piogge, nel mondo cristiano, il rito propiziatorio ha fatto proprie quelle espressioni cultuali tipiche di una nuova forma di religiosità.
Gli edifici dedicati al culto delle acque
Parlando del culto delle acque, la nostra attenzione non può che ricadere su quegli edifici, risalenti al periodo nuragico e ampiamente diffusi in Sardegna, che paiono trovare la loro stessa ragion d'essere proprio nelle antiche ritualità legate all'acqua: I pozzi sacri.
La stessa presenza a Seui, come testimoniano alcuni resti presenti sul territorio, di pozzi sacri, induce a ritenere che le popolazioni nuragiche ivi presenti mettessero in atto quelle pratiche cultuali con fini propiziatori, dove l'elemento acqua assumeva il ruolo centrale.
In particolare, i riti che si svolgevano nelle località di montagna presso i pozzi sacri seguivano un cerimoniale intriso di una forte religiosità e si svolgevano perlopiù in quei periodi dell'anno in cui le precipitazioni iniziavano a scarseggiare, per cui l'invocazione della divinità fungeva da richiamo per garantire un pascolo abbondante o un copioso raccolto.
L'elemento acqua, presente nei pozzi sacri, assumeva la sua centralità anche nei riti volti ad ottenere effetti benefici.
Si riteneva infatti che l'acqua avesse degli effetti terapeutici e che fosse capace di lenire i dolori alle ossa e di alleviare altre forme di sofferenza fisica. E' chiaro, quindi, come per i protosardi esistesse una forte commistione tra religiosità, medicina e magia, tanto che l'invocazione della divinità, attraverso l'acqua sacra, era volta ad ottenere effetti benefici rispetto ai malanni di origine misteriosa o divina.
Una prova storica dei rituali celebrati presso i pozzi sacri, sono gli stessi bronzetti, considerati delle vere e proprie offerte votive, rappresentative perlopiù del legame che si è voluto rinsaldare con la divinità invocata, tanto che molto spesso contenevano la rappresentazione simbolica del beneficio ottenuto.
L'acqua come elemento sacro e terapeutico
Se da un lato l'acqua aveva un carattere sacro, e conseguentemente terapeutico, in quanto capace di guarire dai diversi malanni, dall'altro assumeva anche una diversa valenza in cui l'elemento naturale, vista la sua sacralità, era capace di acclarare la verità dinnanzi all'incerta colpevolezza di coloro che si trovavano imputati di un delitto (in massima parte abigeato). L'accertamento della colpevolezza avveniva attraverso un "iudicium acquae",ovvero col rito dell'ordalia.
L'ordalia, un rito antico
L'ordalia, che rappresentava un vero e proprio "Giudizio di Dio", si svolgeva perlopiù in occasione delle feste e avveniva attraverso l'apposizione dell'acqua sacra del pozzo sugli occhi di colui che veniva sottoposto al giudizio della divinità che, secondo la credenza, esprimeva il suo verdetto di colpevolezza facendo perdere la vista al colpevole. Pertanto, se a seguito dell'apposizione dell'acqua, questa non rendeva cieca la persona sottoposta a giudizio, ciò significava che la persona era innocente e anzi dall'acqua avrebbe avuto un giovamento agli occhi, mentre, nel caso contrario, il divenire ciechi costituiva prova di reità.
Nel mondo della cristianità, l'acqua ha mantenuto un significato molto importante e, come suaccennato, fino a pochi decenni orsono non mancavano i riti propiziatori volti ad ottenere, durante i periodi di siccità, l'intercessione dei Santi per porre rimedio alle annate agrarie pressoché compromesse. La ritualità, naturalmente, seguiva le forme proprie delle celebrazioni cattoliche, tanto che, nella maggior parte dei casi, per ingraziarsi la benevolenza del Santo a cui veniva riposta la richiesta di grazia, era in uso portare in processione la statua per le vie del paese. Anche in questo caso, naturalmente, al di là dell'aspetto devozionale, erano contenuti gli stessi elementi di un passato storico che oggi definiremo intriso di magia e superstizione, se non altro perché anche in tale frangente la risposta della divinità lasciava al caso l'appagamento della supplica. (Mariano Caredda)