Us ladeddos è una pasta fresca tradizionale, della cucina ogliastrina, più esattamente del paese di Baunei.
I baunesi sono molto affezionati a questo piatto tipico della loro zona, ancora oggi infatti viene tramandato di generazione in generazione e cucinato dalle sapienti mani delle donne del paese, seguendo con cura la ricetta tradizionale, semplice e al contempo ricca di gusto. Come anche in passato, ancora oggi viene preparato e consumato soprattutto in famiglia, in casa per i pranzi domenicali, specie in occasioni di ricorrenze e di festa della comunità, come matrimoni o battesimi, sagre e feste religiose.
Come nella maggior parte dei primi piatti tradizionali della cucina ogliastrina, anche questa pietanza sfrutta la patata come ingrediente base, un frutto della terra caratteristico del territorio e presente in quantità abbondante, specie in passato dove quasi tutte le famiglie nei loro terreni coltivavano questo tubero sostanzioso e di facile coltivazione per quei territori.
I componenti principali per creare Us Ladeddos sono solo quattro: Sa Simbula (la semola), Sa Patata (la patata), su sale (il sale) e S’Abba (l’acqua).
Questa semplice e gustosa pasta dell’alta Ogliastra si presenta con una forma rettangolare o romboidale, forme ottenute a mano libera con un coltello o grazie all’uso di uno strumento da cucina, Sa Serretta.
Su Canneddu (il mattarello) invece, è lo strumento per l’appiattimento della pasta, ma anche questo primo passaggio della lavorazione della pasta fresca può essere effettuato, per i più esperti, a mano libera.
Leggiamo come creare Us Laddedos.
Per prima cosa, sbucciate e lessate le patate (se preferite, potete salare l’acqua).
Dopo averle scolate, schiacciatele ancora calde e con l’aiuto di un “impastera” (recipiente grande), uniteci all’interno la semola e dell’acqua. (Aggiungete il sale solo se non lo avete messo nell’acqua di cottura per le patate).
Dopo aver unito tutti gli ingredienti e aver ottenuto un impasto abbastanza omogeneo e morbido, cercate di schiacciare l’impasto con il mattarello sino ad arrivare ad uno spessore di almeno mezzo cm.
Formate delle strisce di pasta con Sa Serretta e successivamente tagliatele per ottenere dei rettangoli, o dei rombi, non importa se escono irregolari.
In una pentola, portate ad ebollizione l’acqua per la cottura de Us Ladeddos e attendete che questi vengano a galla. Segnale ottimale della cottura.
Scolate e condite con sugo al pomodoro e servite il piatto con una spolverata di formaggio (pecorino preferibilmente).
Esiste anche una versione con la farina che veniva utilizzata e sostituita in mancanza della semola, un ingrediente più raffinato e quindi più costoso per le famiglie del passato.
Infatti l’utilizzo della farina rende l’impasto più morbido e di un colore molto più chiaro se paragonato all’impasto con la semola, e necessita di una lavorazione meno intensa ed energica con le mani così da ottenere una miscela compatta e facile nella lavorazione.
Non dimentichiamo che la semola è un ingrediente ricco di proteine, e veniva consumato con l’obiettivo di dar forza ai lavoratori e maggior possibilità di saziare le famiglie durante i pasti principali.
Oggi, negli ingredienti di molte ricette moderne, si legge la presenza dell’uovo, ingrediente che, come da tradizione non viene contemplato, ma che alleggerisce e abbrevia la lavorazione della pasta ottenendo una consistenza simile a quella senza l’uovo, al contrario della semola che con la lavorazione delle mani serve a far assorbire, in modo ottimale, l’ingrediente con l’acqua.
Per il procedimento con la variante della farina, i grammi da utilizzare saranno pressochè gli stessi della ricetta con la semola.
Is Culurgiònis Spoggiausu o Sos Culurgiònes Spoggiausu (in italiano "senza vestito / spogliati) sono un piatto tipico della cucina ogliastrina.
La caratteristica principale di questo primo piatto è l'uso del solo ripieno dei classici Culurgiònis con la chiusura classica a forma di spiga di grano.
Vengono prodotti maggiormente nella pianura ogliastrina, toccando i paesi di Tortolì, Girasole, Lotzorai e la piccola frazione di Santa Maria Navarrese, dove la vendita avviene anche nei pastifici locali.
Come nei Culurgiònis, anche quelli "Spoggiausu" sono un piatto povero di derivazione agropastorale, la cui origine deriva dall'avanzo dell'impasto interno dei Culurgiònis classici, che rimpastato permette l'ottenimento di "gnocchi di patate", definiti tali data la loro similarità nella consistenza.
La loro lavorazione risulta essere ancora più semplice data la mancanza della sfoglia presente come nei Culurgiònis classici.
Andiamo a leggere come si preparano.
Pelare le patate e farle cuocere all'interno dell'acqua salata sino a lessarle.
Far soffriggere le cipolle nell'olio e.v.o.
Lessate le patate, schiacciatele con uno schiaccia patate, sino ad ottenere una purea.
Dopo aver ottenuto la purea, aggiungete a quest'ultimo l'olio soffritto delle cipolle, la menta, il pecorino stagionato e il pecorino fresco.
Lavorate l'impasto per ottenerlo omogeneo sino a distenderlo su un piano da lavoro, lasciando uno spessore di almeno 1cm. L'aggiunta della farina all'impasto lo rende più compatto e più facile per la lavorazione.
Condire a piacere.
Nella preparazione dell’impasto, a differenza di altri paesi ogliastrini, nel paese di Tortolì viene utilizzata la cipolla al posto dell’aglio.
Alcune famiglie, all’impasto, aggiungono all’interno l’olio soffritto aromatizzato, insieme ai pezzi di cipolla sempre soffritti. Altri invece, preferiscono scartare le cipolle soffritte e usare solamente l’olio aromatizzato ottenuto dalla cottura della cipolla.
Sempre nella pianura ogliastrina, alcuni paesi come Tortolì, Girasole e Lotzorai, prediligono l’uso della menta fresca al posto di quella secca.
Il formaggio, diversamente dai paesi dell’alta Ogliastra viene utilizzato in quantità minore.
A Tortolì, la forma che viene data è di tipo romboidale, a differenza di Santa Maria Navarrese che è di forma rotonda.
Sa Moddigina è un pane tipico dell'Ogliastra, precisamente della zona di Perdasdefogu.
Questo tipo di pane si presenta con una forma ovale ed è molto più alto se paragonato a Su Modditzosu, altro tipico pane ogliastrino.
Possiamo dire che nell'aspetto Sa Moddigina risulta essere molto simile a Su Civraxiu, un altro pane della tipica cucina sarda, nello specifico del sud Sardegna. Sa Moddigina del territorio ogliastrino si differenzia nell'uso dei suoi ingredienti, e quindi nella preparazione che risulta essere più articolata, specie per la presenza di un ingrediente base della cucina ogliastrina, la patata.
Sa Moddigina viene tutt'oggi preparata dalle famiglie del paese seguendo i metodi di preparazione e i tempi di cottura, come la tradizione ha tramandato da generazione in generazione.
Nel passato questo pane, come ogni altro tipico pane dell'isola, non veniva mai buttato ne sprecato perchè simbolo di benessere e quasi sempre unico piatto che soddisfava le tavole della famiglia.
Infatti quando nelle tavole si creavano rimasugli raffermi di pane, molte donne riutilizzavano gli avanzi per dare vita a nuove pietanze molto consistenti ed energetiche come ad esempio Su Massamurru o Su Pani Indorau.
La sera prima della preparazione, all’interno di una “conca” (recipiente), si unisce Sa farra (la farina di grano), la farina fiore (Farina 00), Sa simbula (la semola) e si mette da parte un pezzo di pasta lievitata conservata precedentemente, chiamata in sardo “Su Framentu” (lievito madre) per far sì che questi ingredienti siano pronti per la lavorazione che avverrà l’indomani.
Dopo aver superato il primo passaggio, ci si prepara al secondo con la lavorazione delle patate, quindi vengono lessate, sbucciate e schiacciate. Dopo aver ottenuto un impasto omogeneo, si trasferisce il tutto all’interno di un recipiente e si inizia a lavorarlo con le mani per alcuni minuti. Ottenuto l’impasto, si copre il tutto con un telo e lo si lascia riposare per l’indomani.
La mattina seguente ci si prepara con un litro e mezzo circa di acqua tiepida per immergerci all’interno, un altro pezzo di “Su Framentu” (lievito madre) e farlo sciogliere.
Si riprende “Sa Conca” (che viene chiamata anche “Tianu” o “Impastera”, dipende dalla zona) pronta dal giorno prima, con all’interno i due tipi di farina e la semola e ci si prepara formando una fontanella centrale, dove, all’interno di questo foro creato viene versato il lievito sciolto precedentemente nell’acqua tiepida, e si lavora il tutto sino ad ottenere un impasto omogeneo al fine di poter creare una pagnottella da poter poi lasciarla riposare.
Ottenuta la pagnottella, la si copre in superficie con della farina avanzata all’interno del recipiente nella fase di lavorazione per poi ricoprire il recipiente con un telo.
Dopo che l’impasto ha riposato, solitamente la sera o l’indomani mattina avviene la fase di lavorazione e cottura.
Si inizia a scaldare dell’acqua con all’interno del sale per far sì che si sciolga.
Si procede con il prendere i due componenti, quindi l’impasto lievitato e l’impasto delle patate e si mischiano con un procedimento di amalgamazione chiamato in sardo “ingaddai” versando a dosi piccole l’acqua salata con l’obiettivo di ottenere un impasto omogeneo e duro.
Lo si lavora per circa due ore, bagnandosi di tanto in tanto le mani nell’acqua tiepida salata per raggiungere la consistenza giusta per fare le palline di Moddigine. Questa tecnica viene chiamata in sardo “si crasiada”.
Prima della realizzazione delle palline, si preparano dei canestri di vimine foderati con il canovaccio dove all’interno e sopra le pieghe del telo si adageranno le palline di pasta ben infarinate per farle finire di lievitare.
Nella creazione delle palline, si pone da parte una pagnotella per farla fermentare e la si conserva per la volta successiva nella creazione e lavorazione del pane.
La cottura avviene, come in passato nei tipici forni a legna, e il tempo varia dai 35 ai 45 min.
Su Pistoccu friggiu (pistoccu fritto) è un piatto tipico dell’Ogliastra.
Questo buonissimo e sfizioso piatto possiamo classificarlo come un primo piatto, dato che gli ingredienti che si utilizzano per la preparazione, sono gli stessi del Pane Pistoccu, dove l’unica differenza tra i due piatti è il metodo di cottura, ossia la frittura.
In entrambi i casi, l’impasto, arricchito dalle patate oltre dall’ingrediente base che è la semola viene fatto lievitare per alcune ore col calore del forno, e solo successivamente steso in sfoglie, che verranno fritte (pistoccu friggiu) o cotte al forno (pane pistoccu).
Questo piatto, in molti paesi dell’Ogliastra, piatto nella tradizione, veniva preparato dalle mamme e dalle nonne come merenda per i bambini, (anche oggi il fritto resta una voglia irresistibile).
Ma ora vediamo come si prepara Su Pistoccu Friggiu.
Impastare gli ingredienti con acqua tiepida e lavorarli fino ad ottenere una pasta elastica e liscia.
L’impasto viene lasciato lievitare per un paio d’ore
Stendere l'impasto e tagliarlo a forma arrotondata o triangolare.
Immergere le forme tagliate in abbondante olio caldo e aspettare che la sfoglia si gonfi a “palla”, proprio come nel procedimento del forno a legna.
Scolare e servire tiepide con un filo di e.v.o. e sale.
In alcuni paesi dell’Ogliastra, durante eventi, sagre e feste religiose, Su Pistoccu friggiu si può trovare ripieno di formaggio di capra o di pecora.
Molto usato come "street food".
Uno dei dolci più amati da noi sardi e dai visitatori della nostra amata terra, è la Seada.
Un dolce che tra i tanti della tradizione dolciaria sarda, ha ottenuto più popolarità.
Secondo alcuni studi, questo prelibato dolce, è originario dell’Ogliastra settentrionale e della confinante Barbagia di Ollolai, in particolare nelle zone di Urzulei e Dorgali.
Il dolce, fortemente legato alla pastorizia, si ritiene abbia avuto modo di essere esportato nelle altre zone della Sardegna, grazie alle transumanze del commercio dei pastori, in particolare verso le coste nord del Lugudoro e della Baronia, prendendo denominazioni differenti, come ad esempio Sebadas, Sevadas e Sevata.
Si presenta con una forma discoidale, e nella maggior parte delle volte, la sfoglia viene decorata con disegni di tradizione tipica sarda.
Ma andiamo ora nel dettaglio per vedere quali sono i semplici ingredienti da utilizzare e il procedimento di preparazione.
• Farina di semola di grano duro sardo (rimacinato) 500g
• Strutto animale 50g
• Acqua tiepida q.b.
• Sale (pizzico)
• Formaggio fresco acido (casu Furriau in sardo)
• Scorza di limone o arancio
Creare dei dischi con il formaggio di circa 12–15 cm di diametro e 8 mm di altezza.
Successivamente preparare la sfoglia, quindi semola sarda, acqua tiepida e strutto lavorata finemente.
Stendere il tutto e porre, sopra la sfoglia distesa, i dischi di formaggio precedentemente tagliati.
Riprendere la forma del disco di formaggio lasciando uno spazio di almeno 5 mm nel bordo della pasta e poi ricoprire il disco di formaggio con un altro disco di pasta della stessa misura.
(E’ possibile decorare i 5 mm assicurando una buona chiusura)
Dopo aver chiuso bene la Seada e non aver lasciato molta aria all’interno del dolce, si prosegue con la cottura, che dev’essere fatta in olio e.v.o. caldo, possibilmente abbondante.
La cottura del dolce si può recepire quando l’olio inizia a “scoppiettare”.
Questo afferma che la pasta si è leggermente aperta e che il formaggio è ben cotto, quindi togliere immediatamente dall’olio, scolare, e servire il dolce ben caldo con una cosparsa di miele sopra.
L’origine del nome è incerto.
Alcuni studiosi ritengono che il nome del dolce derivi dallo spagnolo “Cebar” ossia cibare, alimentare. Altri studiosi sardi, ritengono che il nome derivi da termini come sebu o seu, inteso come grasso animale.
Particolare attenzione va riposta nella pronuncia del nome del dolce, che in italiano viene erroneamente citato confondendo il singolare Seada con il plurale Seadas o Sebadas. Da qui bisogna chiarire che la lingua sarda, è una lingua della branca romanza, e quindi l’uso della s, aggiunta a fine parola, ottiene il plurale. ( Sa seada, Is/Sas Seadas)
Un’antica tecnica di guarnizione della Seada poco utilizzata, ma particolarmente efficace nell’esaltazione del gusto del miele, è la tecnica chiamata in sardo “ammerrare sa seada”. Essa consiste nel portare ad ebollizione dell’acqua con del miele in un pentolino, per poi affondare la seada dentro il liquido stesso, ottenendo un croccante rivestimento di miele, sottile e dolce, dandogli un aspetto lucido e vetroso.
Verosimilmente, alcuni palati preferiscono, al posto del miele o dello zucchero semolato, il sale come guarnizione, virando totalmente il gusto del piatto e difficilmente potendolo identificare come dolce. Da provare come aperitivo.
Tra i tanti dolci tipici sardi, che la tradizione ha tramandato sino ai giorni nostri, troviamo “Is Arrubiolus”, chiamati differentemente anche Brugnolusu, Rujolos, Orrubiolusu, Turonzos, Bubuzones in base alla località e al paese di origine.
In italiano vengono denominati “Castagnole sarde”.
Cambia solo il nome ma non gli ingredienti base.
Infatti questi dolci tipici della tradizione montana sarda, tocca e affonda le sue radici anche nella zona dell’alta Ogliastra, dove nelle ricorrenze delle festività del carnevale sardo, vengono serviti come buon auspicio.
Ai nostri occhi si presentano arrotondati, quasi a formare delle palline. Il loro ingrediente base è la ricotta di pecora o di capra, che forma il cuore del dolce stesso. Dolce che per essere ultimato viene fritto e zuccherato.
Ma ora vediamo brevemente come si possono realizzare e gustare queste deliziose palline dolci.
In una ciotola di medie dimensioni, unite la ricotta e lo zucchero semolato, e lavorate il tutto rendendola una crema.
In questo, aggiungete la scorza di arancia, lo zafferano, il lievito in bustina, il sale e le uova.
Continuate a lavorarla per far si che tutti gli ingredienti risultino ben amalgamati.
Unite la farina gradualmente per ottenere un ottimo impasto denso.
Nel frattempo che l’impasto si lascia riposare per mezz’ora, preparate in una padella l’olio per la frittura e riscaldatelo.
Con l’ausilio di un cucchiaio, cercate di formare delle piccole palline e versatele nell’olio.
Il termine della cottura si ottiene quando il dolce acquisisce un colore rosso-bruno, quindi scolate e cospargere il tutto con dello zucchero semolato.
Alcune tradizioni locali aggiungono all’impasto anche la scorza del limone, del formaggio fresco grattugiato e un cucchiaino di “Abba Ardenti” (grappa sarda).
Inoltre, a fine cottura, in alternativa allo zucchero semolato, si può utilizzare del miele o dello zucchero a velo.
Si dice che il nome di questo antichissimo dolce, derivi dalla parola Orrùbbiu, il cui significato in italiano è rosso. Il dolce infatti, assume questo colore caldo, con l’uso del tuorlo d’uovo e dello zafferano. Rosso che verrà ravvivato al momento della frittura.
Uno dei tanti e bellissimi monumenti naturalistici che il territorio ogliastrino offre ai visitatori, sono le Rocce Rosse (o scogli rossi) di Arbatax, ubicate nell’omonima frazione di Tortolì, al centro della costa est della Sardegna.
Denominate anche “cattedrale nel mare”, si presentano agli occhi dei visitatori con uno splendido rosso porfido, materiale lavico dal quale sono formate.
La presenza di falesie, dello stesso materiale che sovrastano il panorama circostante, abbracciano la costa e le rocce stesse, riflettendo tutta questa bellezza naturalistica in un bellissimo mare di color verde e azzurro smeraldo. Il monumento arriva a toccare i 15 m di altezza, che, nella stagione estiva, è meta di giovani temerari e avventori di tuffi mozzafiato.
Tra le tante peculiarità del monumento e del piazzale circostante, che fu una miniera di estrazione di materiale naturale utilizzato per il porto stesso e il borgo marinaro nel suo decoro urbano, spiccano alcune di particolare interesse.
Tra queste meritano menzione, ruderi incastonati nelle rocce, a ridosso del mare, testimonianza di un passato non troppo lontano.
Questi ruderi, un tempo casette, crollate nel tempo per incuria e intemperie, in passato furono dei rifugi, usati da minatori e scalpellini durante la costruzione del porto di Arbatax agli inizi del 1900. Si narra che anche il foro presente nel monumento stesso, sia stato usato come riparo per i lavoratori di quel tempo, e testimone di questo è la presenza di segni edili in calce e pietra, presenti nelle rocce rosse.
Il piazzale degli scogli rossi, oggi, viene utilizzato per manifestazioni culturali e concerti d’ampio interesse nazionale e internazionale, come ad esempio il festival "Rocce&Rosse Blues", e il "RedValleyFestival" dove ogni anno, nel periodo estivo, si esibiscono dj e personaggi noti dello spettacolo e della musica italiana ed internazionale.
Nel 1974 furono girate alcune scene cinematografiche, nella costa ogliastrina tra Baunei e Arbatax, del film "Travolti in un insolito destino nell’azzurro mare di agosto" di Lina Wertmüller (1974), dove si apprezzano i profili di un giovane porto, quello di Arbatax, e suggestivi scorci del borgo marinaro arbataxino.
Nel 2007, il monumento naturale delle Rocce rosse, appare nel francobollo emesso dalle Poste Italiane in 400mila copie. Voluto dal Ministero dello Sviluppo Economico e da Poste Italiane è inserito nell’ambito della serie filatelica tematica “Patrimonio naturale e paesaggistico”.
Il 7 maggio 2017 ha fatto da scenografia naturale alla partenza della 3^ tappa del 100° Giro d'Italia da Tortolì a Cagliari.
Per i più romantici e sognatori, si consiglia di ammirare l’alba in tutta la sua bellezza, avvolti da una profumata brezza marina. Vi troverete immersi in una luce dorata-arancio, arricchita dai colori brillanti delle rocce stesse, dalle imponenti falesie e della ricca natura faunistica. Ai più fortunati, è riservato l’incontro ravvicinato con i mufloni, simbolo della fauna sarda, che saltano e si arrampicano tra le pareti rocciose e la alte falesie.
Dall'abitato di Tortolì, raggiungere il borgo marinaro di Arbatax. Poco prima del porto commerciale svoltare a destra nel piazzale.
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