Racconti_2014

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di Michela Tuligi
Per sessant’anni Ignazio aveva visto sua moglie seduta davanti al telaio, non sbagliava mai.
Ora lei gli porgeva la scatola dei fili e guardandolo con gli occhi stravolti chiedeva a lui, che di trama e di ordito non aveva mai capito nulla, quale filo andasse sotto e quale sopra: «qual è? Non me lo ricordo più».

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di Marianna Fanelli
Sapevamo fare tutto con le mani, sapevamo mungere le pecore e fare il formaggio, sapevamo lavorare le pelli e coltivare la terra. Non c’era bisogno di parlare molto per imparare l’uno dall’altro, bastava guardare con gli occhi aperti il movimento delle mani. Io mi ricordo di un tempo in cui credevo che le mani si muovessero per sapienza loro, libere, rapide e precise. Le mani sono le prime e le ultime parole.

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di Maria Pili
Lavorava meglio la notte : la sua mano teneva l’incudine e il martello come se fosse quella di un gigante che vivevano, si narrava, in questa terra antica.
Tutti si erano lamentati: il rumore così assordante e ripetitivo tanto che non ti faceva dormire o ti faceva diventare maccu . Solo lui sapeva perché trasformava, con le sue possenti braccia, il ferro in oggetti che, inizialmente, potevano fare o del bene o del male. Anzi soltanto lui sapeva o: tutto il paese ne sparlava dietro alle sue spalle con molta cattiveria.
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