Il 29 aprile 2025 ricorre l’80° anniversario dalla liberazione del campo di prigionia di Dachau.

Infatti il 29 aprile 1945, i soldati statunitensi della Settima Armata liberarono il campo documentando le condizioni di vita dei circa 30.000 prigionieri reduci, vicini alla morte, sfiniti da fame e malattie.

Fu il primo campo di concentramento nazista ad essere costruito.

Aperto nel 1933, in dodici anni di esercizio nel campo transitarono circa 200.000 persone e circa 40.000 vi persero la vita.

Gli ogliastrini imprigionati a Dachau sono stati 4: 

 Cognome e Nome Luogo di nascita Data di nascita  Matricola e data di internamento 
 Bidotti Virgilio Ilbono  04/04/1913  53825 (22/09/1943) 
Boi Battista Bari Sardo  27/11/1912 (errata nei doc di internamento 25/12/1912)  53841 (22/09/1943) 
 Cocilio (Cocillo) Quirino Tortolì  24/05/1913 (deceduto nel lager 21/07/1944) 54877 (22/09/1943) 
Deiana Antonio Tertenia  25/03/1909  69620 (02/11/1944) 

 

Battista Boi 

Con l'intento di documentare e alimentare la memoria di quegli atroci fatti, vi racconto la storia di mio nonno, Battista Boi.

Le Origini e la Partenza per il Fronte

Nacque a Bari Sardo il 27 novembre 1912. Come molti giovani dell’epoca, fu chiamato a servire la patria in un momento storico drammatico, neanche ventottenne, l'11 novembre 1940, ricevette la cartolina di chiamata alle armi e prestò servizio in diverse località della Sardegna, tra cui San Gavino Monreale, Austis e Berchidda. Nonostante il servizio militare, ogni tanto riusciva a tornare a casa grazie alla licenza agricola, che gli permetteva di aiutare la famiglia nei lavori di aratura, semina e raccolta.

L'ultima volta che lasciò Bari Sardo fu nel luglio del 1942. Sua moglie, Giannetta Nieddu, era incinta del loro secondo figlio, Dario, che sarebbe nato mentre Battista era al fronte. Questo distacco fu solo l’inizio di un lungo calvario.

L'Arresto in Corsica e l'Imprigionamento

Nel novembre 1942, venne inviato ad Ajaccio per prendere parte a quella che sarà ricordata come l'occupazione italiana della Corsica. Qui, le difficili condizioni di vita e la scarsità di provviste segnarono profondamente la sua esperienza e quella dei suoi commilitoni.

Ad aprile 1943, la sua divisione era allo stremo: le provviste erano terminate e i soldati, ridotti alla fame, si nutrivano di bacche di corbezzolo, ma questa alimentazione in breve causò una inarrestabile “diarrea orrubia”, una dissenteria emorragica. Disperati, trovarono un campo di patate e ne raccolsero alcune per sfamarsi. Tuttavia, il proprietario del campo denunciò il furto alle autorità e la successiva perquisizione portò all'arresto di Battista e dei suoi compagni, che furono imprigionati a Bastia. Successivamente, vennero trasferiti alla Fortezza di Peschiera del Garda, utilizzata come penitenziario militare.

La Deportazione a Dachau

Dopo la resa dell’Italia e l’armistizio dell’8 settembre, i soldati italiani furono considerati traditori dai tedeschi e deportati nei campi di concentramento. Battista fu incluso nel "Trasporto 2", un convoglio di circa 1.790 prigionieri che partì da Peschiera il 20 settembre 1943 e arrivò a Dachau il 22 settembre.

Al suo arrivo, gli fu assegnato il tristemente noto pigiama a righe bianche e grigie con la matricola n. 53841 e il triangolo rosso con la scritta "AZR IT" (Arbeitszwang Reich Italiener – “Detenuto asociale assegnato a lavoro forzato nel Reich”), classificandolo come lavoratore coatto di origine italiana.

Uno dei ricordi più vividi nei racconti dei sopravvissuti dei campi di concentramento era il momento dell’appello, quando il numero di matricola doveva essere ripetuto in tedesco. Nonostante le difficoltà linguistiche veniva imparato rapidamente a suon di percosse, infatti se non si era in grado di riprodurre le cifre si veniva colpiti con violenza. Nel caso di mio nonno: fünf, drei, acht, vier, eins.

Battista Boi 1

Gli Orrori del Campo

Le condizioni di vita erano inumane. Il primo compito della mattina era gettare fuori dalla finestra delle baracche i cadaveri degli internati che non superavano la notte per il freddo, la fame o le malattie. Fuori dalle baracche si ergevano mucchi di cadaveri che più tardi altri detenuti, armati di tridente, caricavano su camion per essere condotti fuori dal lager.

La giornata lavorativa era di 12 ore. Lui e altri 91 italiani vennero condotti nel Campo satellite di Kempten e impiegati come operai per la costruzione di un ponte. Il freddo era pungente e per ripararsi dal gelo si infilavano nel pantalone del pigiama a righe le buste del cemento vuote che utilizzavano per la costruzione del ponte.

Un evento che veniva ricordato spesso con disperazione, accadde verso la fine di settembre 1944: Mentre stavano per recarsi nella sala del rancio, hanno visto un altro salone con la tavola apparecchiata per gli ufficiali tedeschi. Uno dei loro compagni, chiamato “Atzei” (Claudio Atzei di Siris, Matricola 53691) decise di prendere una fetta di pane nonostante gli inviti a desistere da parte dei compagni. I nazisti, presto accortisi della mancanza, chiusero le porte della mensa e indagarono fino ad identificare il colpevole. A quel punto vennero chiusi in un cortile per 5 giorni privati del cibo e dell’acqua e al colpevole, come punizione esemplare in presenza di tutti i compagni, gli è stata fatta una doccia mentre veniva grattata la pelle con una spazzola d’acciaio fino a sanguinamento. Durante questi giorni di punizione in isolamento, la fame spingeva i prigionieri a salire uno sopra l’altro per cercare di cibarsi delle poche piante spontanee che crescevano sui muraglioni.

Un altro evento drammatico avvenne per via di una carota. In uno dei transiti nel campo i prigionieri venivano fatti passare in un passaggio obbligato chiuso da una recinzione. Oltre la recinzione erano accatastate delle carote e uno dei suoi compagni si azzardò ad allungare la mano per prenderne una. I soldati si accorsero dell’ammanco e individuato il colpevole, gli strapparono le unghie con una pinza. “Mischinu, cantu ia soffertu!” (Poverino, quanto ha sofferto!).

Anche le scarpe rappresentavano un ulteriore tormento: non essendoci scelta dei numeri, venivano consegnate a caso. Raccontava di un detenuto molto alto, costretto a indossare scarpe troppo strette, che arrivò al punto di mutilarsi le dita dei piedi per poterle utilizzare e contrastare il freddo.

Dachau

La Liberazione e il Ritorno a Casa

Il 29 aprile 1945, gli americani liberarono Dachau e Battista dopo 585 giorni fu trasferito a Napoli. Raccontava che qui, gli ex deportati ricevettero la "carta bianca", un documento che consentiva loro di ottenere cibo senza restrizioni nei negozi e nei mercati.

In attesa del rientro in Sardegna, Battista affidò una lettera a Narcisio Cabiddu, che partì prima di lui, per rassicurare la moglie sulla sua sopravvivenza. Arrivato a Cagliari, dovette attendere ancora alcuni giorni prima di poter tornare a Bari Sardo.

Il 5 giugno 1945, un autobus rosso lo riportò finalmente a casa. La commozione fu immensa: appena sceso alla fermata di “Sa Staria” al centro del paese, sua moglie Giannetta e la cognata Virginia Loi svennero per l'emozione.

Durante l’assenza di Battista in casa con mia nonna Giannetta, dormivano solo Anna la primo genita e Dario, il secondo genito, che però non aveva mai conosciuto il padre, nato durante la sua assenza. Pertanto la prima notte non accettava quell'uomo sconosciuto e disse alla madre: "Ecini 'e cuss'omini? Deu non corcu con cuss'omini, bonghinceddu!" (Chi è quell'uomo? Io non dormo con quell'uomo, mandalo via!).

Il Legame Fraterno con Virgilio Bidotti

Il destino di mio nonno dal 20 settembre 1943 fu legato a doppio filo con un commilitone di Ilbono chiamato Virgilio Bidotti con cui condivise tutte le drammatiche esperienze.

Dopo la liberazione, Virgilio esitò a rientrare in Sardegna, preoccupato per la sua salute – afflitto da numerosi bubboni – e temeva il rifiuto della moglie. Mio nonno l’ha incoraggiato a rientrare per essere accolto dalla famiglia. Infatti al suo rientro ha trovato grande affetto dalla famiglia. Virgilio, che in seguito costruì una famiglia di sei figli, visse fino al 2007, trascorrendo ben 62 anni dalla sua liberazione da Dachau.

Appena Battista e Virgilio sono rientrati ai loro rispettivi villaggi, hanno cercato subito di riprendere contatti con il “fratello acquisito” con cui avevano condiviso tutte quelle sofferenze. Infatti ogni domenica, fino a quando la dimensione delle famiglie lo permise, si invitavano reciprocamente il pranzo una volta ad Ilbono ed una volta a Bari Sardo.

Il Resto della Vita

Negli anni successivi, Battista faticò a parlare degli orrori vissuti a Dachau, per il peso delle emozioni e dei ricordi dolorosi. Tuttavia, riuscì a sopravvivere a quel dramma umano e a costruire una numerosa famiglia composta da dieci figli: Anna (1941), Dario (1943), Palminia (1946), Placido (1948), Giuliana (1951), Giovannina (1954), Bruno (1958), Patrizia (1960), Rino (1962) e Roberta (1964).

Per anni, è rimasto tormentato dalla denuncia per il furto delle patate, necessario per sopravvivere, rappresentò per lui un “disonore” che non riuscì mai ad accettare.

A Bari Sardo, durante le feste di Santu Geroni (San Girolamo) e Santu Micheli (San Michele Arcangelo), venivano organizzati imponenti pranzi in cui tutta la famiglia si riuniva. In quei momenti Battista usava ricordare le 5 giornate in cui è rimasto senza mangiare e che mentre eri lì “giai ma dessi boffiu in Barì a dir de oi ca incesti Santu Geroni ca peri chi seus in poveresa unu pagu de minestrina ‘e brodu nc’esti in dognia omu”, (Come avrei desiderato essere a Bari Sardo in questi giorni per San Girolamo, perché anche se siamo in povertà un po’ di minestrina di brodo si trova in ogni casa), poi si alzava da tavola e usciva nel portico, quando rientrava aveva gli occhi lucidi per le emozioni che riaffioravano.

È morto di infarto seduto nel portico di casa sua a Bari Sardo l’8 ottobre 1990. Avevo solo 8 anni e ho ricordi vaghi di quei giorni ma il giorno dopo a Lanusei si è abbattuta una memorabile tempesta di grandine con proiettili di ghiaccio sino a 500 grammi di peso che devastarono macchine e ogni altra cosa incontrassero. Ho sempre pensato fosse un evento che simboleggiava la tristezza per aver perso un uomo così importante.