Opera dell'artista lanuseina Stefania Lai

Il bosco di Padenti nella sua parte più alta, ricco di acque sorgive e di alberi venerandi comprendeva, almeno fino agli anni che precedono la prima guerra mondiale, un luogo sentito nel lontano passato come “magico”, e che era il punto di arrivo di una particolare e tradizionale passeggiata della notte di San Giovanni (23-24 giugno).

Si celebrava in quel bosco un rito noto con il nome di “S’Abba muda”, usanza popolare che era molto radicata nella cultura di Lanusei, che coinvolgeva principalmente le donne, dalle adolescenti alle ragazze da marito. La passeggiata di quella notte era considerata assai importante per trarre pronostici amorosi, per stabilire legami di comparatico, per la importante raccolta delle acque e delle erbe medicinali.

È da immaginare che in questo medesimo luogo, in tempi molto remoti, in età nuragica e fenicia, venisse venerata una divinità femminile delle acque e degli alberi, verosimilmente creduta presente nella sorgente che sgorga vicino alla chiesetta e che alcune fonti orali chiamavano oltre cento anni fa “de is cuadderis”, ovvero degli “uomini a cavallo”. Raccontano negli anni ’60 del secolo scorso alcune anziane informatrici che la notte del solstizio d’estate, il 23 giugno, prima della dedica di questo sito a Maria Ausiliatrice, si svolgeva un rito di cui si ha lontana memoria, con molte varianti, anche in qualche altra località della Sardegna. Era il rito noto come “abba muda”, in cui muta non era l’acqua, ma dovevano esserlo obbligatoriamente le persone che la raccoglievano e che la trasportavano. Alcune residue testimonianze della diffusione del rito, sebbene ciascuno con caratteristiche proprie, sono state rilevate a Cuglieri, Bono, Macomer, Sedilo, Milis, Aidomaggiore, Ardaùli: in tutte le località il “silenzio” durante il rito era il denominatore comune; in alcune di queste località era contemplata la presenza nella passeggiata delle anime dei defunti. L’usanza, tra le più affascinanti e cariche di mistero, era diffusa in tutto il mondo che era stato soggetto a Bisanzio dal VI all’XI secolo d.C., e si accompagnava (e contrapponeva) al rito cristiano sacro noto come “aghiasmòs”, ovvero la benedizione dell’acqua effettuata dal sacerdote della chiesa greca.

In quella notte “magica”, dopo l’accensione dei falò nell’abitato in onore di San Giovanni Battista, le ragazze del paese si radunavano per dedicarsi alla importantissima raccolta di acqua e delle erbe medicamentose. Il rito prevedeva che esse percorressero in silenzio nel bosco un itinerario che comprendeva sette sorgenti, a partire da quelle vicine all’abitato fino a quelle che sgorgavano sul monte al termine del percorso, raccogliendo in ciascuna delle fonti un sorso d’acqua, da trattenere in bocca fino a quella successiva, e così via. Quindi, in silenzio, le ragazze, evitando assolutamente di proferire parola, con l’acqua in bocca prima del sorgere del sole riprendevano la strada del ritorno e l’ultimo gesto rituale consisteva nello sputarla al rientro in paese sulle ultime braci del fuoco di San Giovanni o ai quattro angoli della cucina di casa, esprimendo un desiderio.

Questo era il rito celebrato a Lanusei, noto come “S’Abba muda”, perché mute dovevano necessariamente restare le ragazze trattenendo l’acqua in bocca, evitando di ridere alle battute salaci che venivano loro rivolte dai giovani che le seguivano, ed anche importunavano, in tutto il percorso. Godeva della massima considerazione ed era considerata virtuosa (e quindi ottima futura sposa e padrona di casa) la giovane che non dava retta alle provocazioni dei maschi, che riusciva a non ridere, ed aveva pertanto successo nel trasportare l’acqua in bocca per tutto il percorso. Compito assai importante delle partecipanti al rito era la raccolta delle erbe medicinali, prima fra tutte l’erba “de Santu Giuanni” (iperico), da effettuare rigorosamente prima del sorgere del sole. Si seguivano anche altre pratiche per trarre pronostici amorosi o effettuare operazioni “magiche”, ma la più significativa restava la pratica dell’acqua in bocca.

L’usanza coinvolgeva a Lanusei la gioventù fino all’inizio del secolo XX, ma subì un forte ridimensionamento con la partenza di tutti i giovani maschi per la guerra 1915-18, che determinò anno dopo anno, a causa della prolungata loro assenza dal paese, l’abbandono di un rito evidentemente di radice pagana, che peraltro la chiesa cristiana sentiva di dovere, prima o poi, cancellare. E si presentò il momento per rimuovere le antiche usanze e fare divenire luogo di devozione cristiana questa parte di bosco con le sorgenti, dove già si svolgeva il “riprovevole” culto pagano.

Nella primavera del 1926 il sacerdote salesiano don Carlo Catanzariti, convinto di dovere eradicare l’usanza, propose al suo superiore direttore del collegio don Chiappe, di collocare in uno degli alberi venerandi prossimi alle sorgenti un’immagine di Maria Ausiliatrice (Madonna alla quale i salesiani sono particolarmente devoti) affidando così a Lei tutto il luogo circostante, con l’intento evidente di cristianizzazione del luogo in sostituzione dell’antico rito, comprendendo nell’abbraccio e nello sguardo della Madonna alberi ed acque che da tempi antichissimi e fino a quella data erano stati oggetto di culto non cristiano.

Ma anche i lanuseini reduci sopravvissuti della prima guerra mondiale contribuirono, forse inconsapevoli, alla cancellazione dell’antica usanza, quando costruirono nel 1927 in questo stesso luogo una chiesetta (la cui edificazione era stata prevista sei anni prima nella piana di Seleni con dedica alla Madonna del Grappa per ringraziarla di avere avuto salva la vita) intitolandola a Maria Ausiliatrice in sintonia con la volontà dei salesiani. E così venne completata la cristianizzazione del luogo e, di fatto, soppressa a Lanusei la tradizione plurisecolare di “S’abba muda”

 

Testo di Riccardo Virdis