Seui - Il Fuoco - Elementi e Simboli di un mondo remoto

La tradizione popolare trova nell’accensione del fuoco una delle sue espressioni più significative, che rimanda ad epoche storiche alquanto remote. Alcune ritualità, piuttosto diffuse in Sardegna, evidenziano ancor oggi la centralità dell’elemento fuoco che permane in alcune rappresentazioni di origine talvolta pagana ma che con l’avvento del cristianesimo sono entrate a far parte di alcuni suoi riti religiosi perdendo così il loro significato originario. La stessa simbologia, che si lega a tale elemento, evidenzia il significato intrinseco del fuoco, volto ad esprimere aspetti che in qualche modo prescindono da ogni legame con la ritualità propria del mondo cristiano, e la stessa fraseologia, ancor oggi in auge, fa riferimento al fuoco discostandosi da un linguaggio che ha una valenza connaturata alla sola religiosità. Sono frequenti, infatti, espressioni come “acchiccai fogu”, “contus de fogili”, “giogai cun su fogu”, “bettai linna a fogu” ecc..., ai quali si contrappone il riferimento della dedicazione ai tre santi de “is fogoronis”, dove la pratica dell’accensione del fuoco assume il significato religioso di un momento devozionale. Al fuoco, tuttavia, vanno attribuite alcune proprietà che possono considerarsi il retaggio di alcune credenze paganeggianti, ancora vive tra le popolazioni rurali.

 

“Su fogoroni”, per esempio, svolgerebbe un’azione purificatrice contro quelle figure immaginarie animate da intenti malefici, esplicando nello stesso tempo anche una funzione rigeneratrice. Tale pratica trova nell’antichità importanti richiami. Si pensi alle celebrazioni in onore di Dio Saturno (Dio della fertilità) che, nella Roma pagana, venivano salutate mediante l’accensione dei fuochi e all’antica Grecia, dove si attribuiva al fuoco un ruolo molto importante, allorché si accendevano dei grandi falò in cui venivano immolate le vittime e bruciati idoli per poi spargere le ceneri nei campi.

Trattando dell’aspetto più “laico” del fuoco, e quindi non asservito a pratiche rituali di tipo religioso, può evidenziarsi il suo significato di elemento aggregante del nucleo familiare. Intorno ad esso, “su fogili”, la famiglia si radunava alla sera e gli anziani raccontavano gli aneddoti legati talvolta al vissuto e talaltra a un mondo immaginario in cui erano presenti i racconti connessi alla magia e alla superstizione, generando un’atmosfera di suggestioni che condizionavano fortemente il sentire di ognuno. “Is contus de fogili”, assumevano tale denominazione proprio perché la centralità del fuoco ristoratore richiamava a se, in un momento di intimità familiare, l’incontro delle vicissitudini e delle esperienze del gruppo che, da quel contesto, spesso traeva il giusto sollievo in attesa di riprendere le fatiche della vita.

Nella tradizione popolare seuese, l’accensione del fuoco assume un significato particolare in occasione de “is fogoronis”. Tale pratica, sicuramente molto antica e diffusa in tutte le popolazioni agro-pastorali dell’Europa, è giunta fino ai nostri giorni mantenendo immutate alcune caratteristiche e, nonostante la dedicazione a tre santi operata con l’avvento del cristianesimo, “is fogoronis” conservano alcuni tratti che confermano la loro origine pagana. La Chiesa, infatti, allorché impose la propria dottrina, dovette tener conto degli aspetti del paganesimo fortemente radicati nella popolazione e, assecondando alcune pratiche cultuali, operò la trasmutazione del loro significato, pur mantenendo l’elemento rituale con i connotati tipici del mondo pagano. Pertanto, se prima dell’avvento del cristianesimo “is fogus” erano volti principalmente ad onorare il Dio-Sole e altre divinità locali, ora l’antico rito è asservito a un nuovo credo religioso, tanto che i tre fuochi invernali, nella tradizione seuese, sono oggi dedicati appunto a Sant’Efisio, a Sant’Antonio Abate e a San Sebastiano.

In ognuno dei tre fuochi continuano, tuttavia, a mescolarsi i diversi significati delle pratiche che in qualche modo valgono a connotarli. Nel fuoco di Sant’Efisio, che viene acceso il 14 gennaio, era in uso, per esempio, saltare da soli o in coppia “su fogoroni”, poiché, secondo la credenza popolare, ciò assicurava la protezione da eventuali danni o malattie. Tale usanza trova origine in tempi remotissimi, e quindi precristiani. Pertanto, mentre nella tradizione cristiana il salto del fuoco è volto ad ottenere la protezione del santo, e in particolare la sua intercessione salvifica dai mali corporali e spirituali, nella tradizione pagana la stessa pratica aveva la funzione di scacciare le streghe o di propiziare una buona annata agraria. In entrambe le tradizioni è comunque comune il carattere che si vuole dare al fuoco, che esalta la sua forza purificatrice e rigeneratrice. Da un lato, infatti, esso purifica il corpo ed esorcizza dalle forze malefiche e dall’altro fa rinascere la vegetazione. Quest’ultimo aspetto assumeva un significato particolare soprattutto nelle comunità agrarie, laddove la vita delle popolazioni era strettamente legata alla terra e in cui il legame tra i due elementi essenziali era per certi versi interdipendente. L’accensione del fuoco, infatti, simboleggiava il risveglio del sole, e con esso quello della natura, il cui spirito vegetativo veniva evocato in prossimità dei nuovi lavori nei campi. Nella tradizione pagana non mancava inoltre il valore simbolico attribuito alle fiamme, che nel loro ardere offrivano dei significati dai quale trarre gli auspici sul raccolto.

Con particolare riferimento a "su fogoroni de Sant’Antoni", che viene acceso il 16 gennaio, va evidenziata la medesima tradizione del salto del fuoco che, pur avendo origini antichissime, assume in tal caso un significato legato al mondo della cristianità. Tale pratica, infatti, veniva posta in essere per assicurarsi la protezione contro “su fogu de Sant’Antoni”, ovvero da un’infezione cutanea conosciuta come herpes zoster. La stessa usanza, è rinvenibile anche nell’ultimo dei tre fuochi, ovvero quello dedicato a San Sebastiano e che viene acceso nei diversi "biginaus" il 19 gennaio. In questo caso la pratica del salto del fuoco ha una valenza connaturata alla devozione verso il santo, il quale morì martirizzato trafitto dalle frecce che, secondo una certa simbologia, rappresentavano la peste. L’usanza di saltare il fuoco, quindi, assumeva un carattere propiziatorio contro le pestilenze. Un’altra caratteristica del fuoco di San Sebastiano, rispettosa del significato religioso e devozionale, era quella di accendere “su fogoroni” esclusivamente con un arbusto aromatico chiamato “erba de Santa Maria”, che secondo alcune testimonianze avrebbe degli effetti benefici, posto che su tali cespugli la Vergine Maria stese i panni di suo Figlio. Tale credenza nasce naturalmente da un nuovo modo di intendere una tradizione che, viceversa, ha radici più antiche del cristianesimo, dove l’ardere dell’arbusto e la sua potente luminescenza, altro non era che una riproposizione dell’azione del sole e l’evocazione dei suoi effetti positivi.

Tra le celebrazioni solstiziali, nella tradizione seuese, si può annoverare l’antica usanza dell’accensione del fuoco in onore di San Giovanni Battista. Tale ricorrenza, pur mantenendo un origine in cui primeggia il significato paganeggiante, è oggi permeata di un carattere devozionale verso il santo. Secondo un’antica credenza durante questa celebrazione, il sole, rappresentato dal fuoco, congiungendosi con la luna sprigionerebbe un’energia benefica che si diffonderebbe sulla terra e sui suoi elementi, ivi compreso l’uomo. Per contro, nella tradizione cristiana, e nello specifico in quella seuese, l’usanza dell’accensione del fuoco è contornata da una serie di accorgimenti che danno centralità al culto verso il santo. La sera antecedente la festa dedicata al Battista, era in uso accendere, lungo il percorso della processione, i fuochi con le felci e le frasche di ontano (alinu), impiegate in precedenza per il Corpus Domini. Le ceneri che residuavano dalla combustione venivano poi sparse nei campi poiché si riteneva che avessero effetti benefici e che fossero di buon auspicio per l’annata agraria.

Un’altra costumanza che esalta il ruolo del fuoco come simbolo di forza e di potenza è quella legata alla sua attitudine a rinsaldare l’amicizia e la fratellanza tra le persone e che trovava espressione, in occasione de “su fogoroni de Santu Giuanni”, nel patto di comparatico.

Nella tradizione seuese, il fuoco assumeva inoltre un ulteriore significato legato alla sua capacità di emanare luce che, nel culto dei morti, rivestiva un carattere particolare. Un modo per omaggiare l’anima dei defunti era infatti rappresentato dall’accensione de “is lantias”, ovvero di rudimentali candele ottenute con materiali semplici. Tale pratica era diffusa soprattutto nel giorno dei morti, allorché era particolarmente sentita la vicinanza coi cari estinti. La stessa fiammella accompagnava inoltre la presenza in casa del defunto e restava accesa fin oltre il momento della sepoltura, in quanto la sua luce doveva brillare fino a quanto “s’ogliu ‘e ermanu”, che costituiva il combustibile de “sa lantia”, non fosse interamente bruciato. Il significato di questa pratica va al di là di uno scontato valore simbolico, in quanto, se da un lato la luce sprigionata dal fuoco rappresentava un mezzo per comunicare spiritualmente coi defunti, dall’altro, la stessa costituiva un elemento atto a rischiarare l’oscurità della morte e, nello stesso tempo, un modo per esorcizzarne la paura.

Nello stesso linguaggio seuese era inoltre presente l’accostamento della luce generata dal fuoco con la continuità della vita. Questo legame trova il suo riferimento nell’espressione “spacciai s’ogliu de sa lantia”, dove lo spegnesi della fiamma simboleggiava la fine del ciclo vitale.

di Mariano Caredda